Non si può parlare di Cagliari senza parlare di Gigi Riva che ha compiuto 78 anni pochi giorni fa. Senza voler far torto a nessuno possiamo tranquillamente dire Rombo di Tuono, come lo ribattezzò Gianni Brera in un Inter-Cagliari del 1970, è il centravanti italiano più forte di tutti i tempi. Del resto il record di gol in Nazionale è ancora suo con 35 reti in 42 presenze. Quasi un gol di media a partita in tempi in cui i difensori ti seguivano fin dentro lo spogliatoio. Gigi Riva però è molto di più di questo.
Le origini del mito. E’ un simbolo autentico della Sardegna ed è l’orgoglio di una città come Cagliari. L’unica isolana a vincere uno scudetto trascinata proprio dai colpi di Rombo di tuono e da un gruppo di giocatori fortissimi che erano la spina dorsale della nazionale azzurra. Nato a Leggiuno, provincia di Milano, nel 1942 , Riva ha perduto entrambi i genitori troppo presto e nello sport ha messo tutto se stesso fin da quando prendeva a calci un pallone nell’oratorio sotto casa. Gli oratori erano un serbatoio di grandi risorse per il nostro calcio che negli anni Sessanta era molto lontano dal concetto attuale delle scuole di formazione dei giovani calciatori. Riva gioca nel 1962-63 gioca nel Legnano in serie C e sogna l’Inter. Lo nota il Cagliari e in particolare Andrea Arricca, dirigente e futuropresidente del club, e lo mette sotto contratto. Inizialmente Riva non vuole andare in Sardegna, poi l’isola diventa una seconda pelle. La sua casa, la sua vita. E Gigi cresce e segna con il passare degli anni. E quanto segna. Prima la promozione in serie A, poi l’esordio in azzurro con Edmondo Fabbri. Primo giocatore del Cagliari a giocare in Nazionale. Il mondiale del 1966 in Inghilterra lo fa da spettatore ma intanto attorno a lui cresce un grande Cagliari.
L’impresa di Annibale. Uno dei pochi portieri a parare un rigore a Gigi Riva è stato il numero uno del Pisa Antonio Annibale, scomparso il 20 maggio 2018, famoso anche per la mitica casacca nera, simbolo di tanti portieri, che ricordava un po’ quella del ragno nero Lev Jascin. Annibale aveva esordito in A nel 1960-61 nel famoso Juventus-Inter 9-1, primo gol di Sandro Mazzola in serie A, quando i milanesi schierarono per protesta la squadra Primavera. Annibale si riscatterà diventando protagonista della promozione in A nel 1967-68 del Pisa di Renato Lucchi e nella massima serie si prende lo sfizio di parare un rigore proprio a Gigi Riva. Il 20 aprile 1969 al 45′ del primo tempo Riva si presenta sul dischetto all’Arena ma Annibale intuisce il suo sinistro ed entra nella storia. Il Pisa pareggia 0-0 e ottiene un punto importante nella corsa salvezza anche se alla fine non riuscirà nell’impresa.
Dallo scudetto all’Azteca. Facciamo un passo indietro e torniamo al 15 dicembre del 1968 quando il Pisa è di scena a Cagliari. I nerazzurri resistono quasi un’ora, poi si scatenano i sardi che giocano con una splendida maglia bianca con il colletto a bottoni e un minimo accenno di rosso e di blu. Segna Riva, poi Boninsegna, poi il difensore Cera. Tutti e tre saranno in campo un anno e mezzo dopo il 17 giugno 1970 all’Atzeca di Città del Messico per quella che ancora oggi è la partita del secolo. La semifinale della Coppa Rimet, la mitica Italia-Germania 4-3. Boninsegna intanto è andato all’Inter ma sono ben sei i giocatori del Cagliari convocati per i mondiali messicani. Oltre a Riva e Cera, ci sono Albertosi in porta, Domenghini all’ala destra e il mitico difensore Communardo Niccolai, recordman di autoreti prima dell’avvento di Ferri, tra i convocati assieme a Bobo Gori. Il 12 aprile del 1970 questi giocatori hanno festeggiato lo storico scudetto del Cagliari dopo il 2-0 al Bari, Riva su rigore e Gori, nel vecchio stadio Amsicora. Nome di un’eroe sardo. Per la Sardegna sono già eroi ma in Messico entrano nella leggenda. Il 4-3 sulla Germania porta anche la firma di Riva, segna il momentaneo 3-2 con l’inesorabile mancino, che è una delle stelle di quel mondiale illuminato dal Brasile dei cinque numeri 10. Pelé in testa. L’esultanza di Riva con la Germania Ovest resta una delle immagini più iconiche, con entrambi i pugni chiusi alzati al cielo, come faceva di solito, istantanea di una felicità immensa ma intrisa anche di dolore e fatica. del resto si gioca in altura e fa un caldo tremendo.
Il tesoro dell’isola. La finale con il Brasile finisce con una sconfitta per 4-1 ma Riva è uno dei protagonisti assoluti. In quel momento è un giocatore da pallone d’oro, è arrivato secondo nel 1969, ma non lo vince. Rifiuta a più riprese la corte dell’Inter e soprattutto della Juventus di Giampiero Boniperti. Che lo fa seguire quasi ogni domenica da qualche dirigente bianconero. Per nulla al mondo è in discussione il suo legame con il Cagliari. Più forte degli infortuni, su tutti quello contro l’Austria in Nazionale, e del calo dei sardi che coincide con il ritorno in B nel 1975-76. Riva chiude la carriera nel 1976, dopo un infortunio contro il Milan, a soli 32 anni dopo 337 presenze e 169 gol tra i professionisti con tre titoli di capocannoniere in bacheca e quel tricolore che è ancora motivo d’orgoglio. Resta in Sardegna e apre una scuola calcio che ancora oggi è attiva. Ha fatto il commentatore Tv e il dirigente accompagnatore della Nazionale in tante edizioni del mondiale. Compreso quello vinto nel 2006 in Germania.
Vera Icona popolare come il suo idolo De André. In un’intervista recente a Repubblica Riva ha detto che il calcio di oggi non lo appassiona più e ha raccontato anche di un incontro di cinquant’anni fa con il suo idolo Fabrizio De André. Poche parole, come riporta lo stesso Riva su Repubblica, ma alla fine i due rompono il ghiaccio tra una sigaretta e un Whisky e alla fine si scambiano i loro ferri del mestiere. Riva regala la sua maglia a “Faber” e De André la sua chitarra a Rombo di tuomo. Nella stanza di un Riva poco più che ventenne campeggia, in mezzo a tante auto da corsa, proprio il poster di De Andrè. Riva e De André, entrambi sardi d’adozione, sono due icone popolari poco inclini al conformismo e alle mode. Se Riva ama ancora oggi la musica, De Andrè amava il calcio e il suo Genoa. Annotava tutte le partite con dati e appunti vari. Da buon cronista e tifoso. Sicuramente con Riva, sardo d’adozione come lui, aveva in comune una grande passione per il suo mestiere e soprattutto per la Sardegna.